Bordeggiare lungo i bordi

giugno 2021

 

Non è un gioco con le parole, ma un’avventura del pensiero. Vivere e operare bordeggiando significa mettersi in una posizione scomoda. Bordeggiare vuol dire andare di bolina, una sfida che sembra paradossale. Andare controcorrente è un’impresa muscolare. Essere resilienti – non se ne può più dell’abuso di questo termine, che si studiava per l’esame di chimica – è un atto di volontà, che si fonda sulla capacità di fronteggiare le difficoltà. Lasciarsi andare alla deriva, nel senso indicato da Guy Debord, è una “Maniera più generale di prendere la vita” imparentata con la flânerie. Andare di bolina significa in un certo senso recuperare la métis, essere più astuti del vento, trovare l’angolo giusto per riuscire a procedere anche se il vento ti soffia contro. Quasi una violazione delle leggi della fisica.

Bordeggiare lungo i bordi è impresa estrema. Che aggiunge alla durezza del compito la deliberata insensatezza di viaggiare in un territorio circoscritto, perlustrare un orlo, un margine, dove la navigazione rischia continuamente di schiantarsi contro le sponde che la delimitano o di sembrare imprigionata da forze inaudite. Quasi come ciò che accade all’interno dell’orizzonte degli eventi, quella superficie immaginaria che circonda ogni buco nero e per sfuggire alla quale occorrerebbe avere una velocità di fuga superiore alla velocità della luce.  E che dunque possiamo considerare come una zona superata la quale non è più possibile, neanche per la luce, fare ritorno. Eppure, è proprio lungo quei bordi che possono accadere le cose più impensate, capaci di sovvertire “l’ordine del discorso”. Anche per ciò che riguarda gli statuti disciplinari. Pensiamo al mondo in cui siamo immersi, un mondo sempre più disseminato di avanzi, luoghi che hanno smesso di svolgere la funzione per la quale sono stati realizzati. E che ora si trovano come in uno stato di sospensione e attesa. Cosa ne facciamo? Li abbattiamo? Li conserviamo come malinconiche testimonianze da offrire al consumo avido degli amanti dello splatter? E se invece, in un secolo caratterizzato dalla diffusione planetaria del neonomadismo, delle migrazioni e della precarietà, provassimo a riscattarli dal loro destino altrimenti atopico trasformandoli in luoghi da destinare a funzioni provvisorie, nate da domande, spesso imprevedibili, di cambiamento dei modi d’uso degli spazi?

 

È qui che entra in gioco la necessità di una revisione di statuto disciplinare e di stile di pensiero. Bordeggiando. Introducendo un nuovo approccio progettuale, fondato sull’idea di accogliere nel progetto come un “dono” gli elementi di degrado presenti nell’avanzo, per tradurli in una sintassi finalizzata a realizzare rifugi per i neonomadi del terzo millennio. L’ho definito design del non-finito, come disciplina di confine, collocata tra design, interior design, arti, restauro, exhibition design, scenografia, cinema, il cui obiettivo è di inventare una “nuova tradizione”, fondata su ciò che si potrebbe definire “estetica dell’avanzo”, che rinuncia all’immagine levigata per dare forma all’incompiuto, all’inaudito, all’impensato.

Luciano-Crespi, Progetto di concorso per la riqualificazione degli ex Frigoriferi Militari, Cuneo, 2020

Luciano Crespi, Progetto di concorso per la riqualificazione della dépendance dell'ex Cotonificio Brambilla, Verräs, 2021