Caro G.

Ottobre 2021

 

ti scrivo da un tavolino del Bar Aurora, da quell’angolo del cortile che dà su Via Padova. Milano è calda e appiccicosa e un gruppo di uomini si è appena levato per rintanarsi al riparo dell’aria condizionata. Mi portano uno spritz, il solito mio, rigorosamente Aperol in bicchiere alto e squadrato. Altri tre uomini parlano arabo, fanno rumore ma non riescono a sovrapporsi al flusso dei miei pensieri. Oggi va così: a quanto pare la fiammella latente si è aizzata d’impeto e le parole mi scappano di mano. Per poterle trattenere tutte devo necessariamente scriverti a computer – cosa che odio – ma le mie penne buone sono rimaste sulla tua scrivania e mi tocca sperare che la batteria regga.

Ho pensato al soggetto nomade e al mio bisogno di mettere un punto a tutte quelle riflessioni informi che mi porto appresso da ormai un decennio...

 

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Caro G.
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