Testo destinato a BORDI

Giugno 2022

 

[1]

(Sul pavimento, al centro della stanza, è tracciata una linea diritta. Dalla parete di fondo, la persona avanza e si posiziona con la punta delle scarpe esattamente sulla linea. Controlla che la punta delle scarpe non oltrepassi la linea. Guarda di fronte. Si massaggia la mano destra con la sinistra, la mano sinistra con la destra. Parla.)

 

Un possibile titolo per il testo destinato a Bordi potrebbe essere l’enunciato che in tono programmatico e senza girarci intorno dichiari le intenzioni che vi stanno dietro. Come segue.

 

Bordi della Nascita di Venere di Botticelli, percorsi con lo sguardo partendo dall’angolo in basso a destra e procedendo verso l’alto fino a compiere un giro completo intorno alla tela.

 

 

[2]

(Guarda in basso, in alto, fa vagare lo sguardo per lo spazio. Intanto pensa. Si massaggia le mani. Poi si volta e torna alla parete di fondo. Passa un minuto. Di nuovo avanza fino alla linea, e torna sul possibile titolo destinato a Bordi, nel desiderio di precisare. Controlla che la punta delle scarpe non oltrepassi la linea. Guarda di fronte. Distende in avanti le braccia, le tiene all’altezza del petto, muove le dita ben tese verso l’alto e verso il basso divaricandole. Poi lascia ricadere le braccia lungo i fianchi. Parla.)

 

Un possibile titolo per il testo destinato a Bordi potrebbe essere l’enunciato che in tono programmatico e senza girarci intorno dichiari le intenzioni che vi stanno dietro. Per esempio.

 

Bordi della Nascita di Venere di Botticelli, percorsi con gli occhi un pezzetto alla volta partendo dall’angolo in basso a destra e procedendo lentamente verso l’alto fino a compiere un giro completo intorno alla tela, e descritti, quei bordi, a parole povere, in un lessico non ricercato, non specialistico, non toccato dalla storia dell’arte, non premuto dalle esigenze della, non modellato ai criteri di verità della, non relativo ai contesti di garanzia semantica della, e quindi non asservito alla, non sottomesso al controllo di possibilità della storia dell’arte.

 

 

[3]

(Porta le mani davanti agli occhi, si copre gli occhi, scuote la testa mentre tiene gli occhi coperti. Di nuovo si volta e fa ritorno alla parete di fondo. Lì giunta, la persona apre le braccia contro la parete e vi aderisce con la parte anteriore del corpo. Preme contro la parete con i palmi delle mani e con la guancia destra, poi con la guancia sinistra. Passano un paio di minuti. Si stacca dalla parete, si volta e come in precedenza avanza fino alla linea, e torna sul possibile titolo destinato a Bordi, nel persistente desiderio di precisare. Flette il busto in avanti, lo piega contro le gambe, spinge la testa verso il basso e con le mani si accerta che la punta delle scarpe non oltrepassi la linea. Si rimette in posizione eretta e guarda di fronte. Parla.)

 

Un possibile titolo per il testo destinato a Bordi potrebbe essere l’enunciato che in tono programmatico e senza girarci intorno dichiari le intenzioni che vi stanno dietro. E cioè.

 

Bordi della Nascita di Venere di Botticelli, percorsi con gli occhi un pezzetto alla volta facendo strisciare lo sguardo sullo strato di tempera che ricopre la tela, spingendo lo sguardo premurosamente in avanti, esortandolo a proseguire, a non stancarsi per nessuna ragione al mondo di aderire alla tela, partendo dall’angolo in basso a destra e procedendo lentissimamente verso l’alto fino a compiere un giro completo intorno alla tela, e descritti, quei circa nove metri di bordi di pittura, descritti a parole povere, parole disponibili nell’immediato, essendo certamente consapevoli che l’immediato non esiste affatto, che le parole più sono povere e più sono distanti e raggiungibili solo a costo di rinunce dolorosissime, ed essendo certamente avvertiti che quel che si descrive non è quel che si vede, che le due strade, la strada della descrittura e la strada della guardatura si divaricano ogni qualvolta noi siamo alle prese con un oggetto qualsiasi lì davanti, e anche a causa di questa consapevolezza profonda che noi abbiamo proprio dentro gli occhi, noi questi bordi li attraversiamo senza preoccuparci affatto di dare forma a un pensiero coerente, a uno sguardo lucido, capace di ritrovare i suoi motivi, obiettivi, coordinate, poiché lo sanno tutti che vi sono più motivi, obiettivi, coordinate nello sguardo che indaga il cassetto della cucina alla ricerca di un grattalimoni, che non invece nello sguardo che si accolla la fatica di percorrere i bordi della Nascita di Venere di Botticelli.

 

 

[4]

(Si porta un braccio davanti agli occhi e scuote la testa. Ancora una volta se ne torna alla parete di fondo. Si stende per terra, sul fianco sinistro, con la faccia contro la parete. Solleva il braccio destro e fa roteare la mano in aria. Fa dei giri con la mano agitando il braccio liberamente in aria. Passano alcuni minuti. Si stacca dalla parete rotolando in avanti fino alla linea; lì si ferma e si alza in piedi. Flette il busto in avanti, lo piega contro le gambe, spinge la testa verso il basso e con le mani si accerta che la punta delle scarpe non oltrepassi la linea. Si rimette in posizione eretta, guarda di fronte, poi muove lentamente la testa guardando indietro verso sinistra, senza girarsi col busto, voltando solo la testa e spingendola al massimo verso sinistra indietro, poi fa lo stesso verso destra, prima di guardare di fronte, così nuovamente tornando sul possibile titolo destinato a Bordi, nell’inappagabile desiderio di precisare. Sospira. Parla.)

 

Un possibile titolo per il testo destinato a Bordi potrebbe essere l’enunciato che in tono programmatico e senza girarci intorno dichiari le intenzioni che vi stanno dietro.

 

Bordi della Nascita di Venere di Botticelli, percorsi con gli occhi un pezzetto alla volta millimetro dopo millimetro facendo strisciare lo sguardo appiccicoso, lo sguardo bavoso di occhi lumaca che rilasciano una quieta conseguenza lucente sullo strato di tempera che ricopre la tela, in tal modo che i bordi ora sono segnati una volta per sempre, a testimonianza perenne del passaggio degli occhi, e spingendo lo sguardo con forza in avanti, esortandolo a proseguire, a non smettere di lisciare quei bordi, per nessuna ragione al mondo finirla di aderire alla tela, partendo dall’angolo in basso a destra e procedendo lentissimamente lucentissimamente aderentissimamente verso l’alto fino a compiere un giro completo intorno alla tela, ricongiungendosi lo sguardo a sé stesso, lo sguardo che partì e lo sguardo che arriverà nel punto da dove lo sguardo era partito, e succede una festa al momento del ricongiungimento dello sguardo a sé stesso una volta compiuta l’impresa di percorrere i bordi, i lunghissimi bordi, gli incommensurabili bordi impensabilmente infiniti, gli occhi commossi al traguardo si autoabbracceranno, si autocomprenderanno, si autoperdoneranno le pigrizie passate, le sbadataggini, le viste non viste, le guardature sceme, secchezze, avarizie, le frettolosità alle spalle dell’oggetto veduto lì davanti, veduto appena appena, veduto un accidenti, e si autoassolveranno, gli occhi commossi al traguardo si autoprometteranno futuri lentissimi scrupolosissimi percorsi, e nel frattempo ovviamente descritti, quei circa nove metri di bordi di pittura, descritti a parole povere, parole disponibili nell’immediato, gratuite, trasparenti, che lasciano trasparire ben bene la pittura al di là di sé stesse, ed essendo noi certamente consapevoli che l’immediato non esiste da nessuna parte, che le parole più sono povere e più sono distanti e raggiungibili solo a costo di rinunce dolorosissime, e che lungo questi bordi niente di niente può mai essere gratuito, sì, lungo questi bordi tutto si paga caro, se parliamo di vedere, se parliamo di coprire con gli occhi le distanze profonde lungo i bordi millimetro dopo millimetro, allora nulla potrà mai darsi per scontato, ed essendo poi noi stati creati in fondo in fondo per essere avvertiti che quel che si descrive non è certamente quel che si vede, e che le due strade, la strada della descrittura e la strada della guardatura si divaricano al massimo ogni qualvolta noi abbiamo a che fare con un oggetto qualsiasi lì davanti, figurarsi se sbattiamo contro la Nascita di Venere di Botticelli, allora non c’è verso di far giacere le due strade una sull’altra, ed è sicuramente a causa di questa consapevolezza precisa, abitante proprio dentro nel più dentro degli occhi, che noi questi bordi li attraversiamo contenti di patire l’incomprensibile, cioè senza sforzarci affatto di dare forma a un pensiero coerente e ovunque luminoso, sufficientemente luminoso da non rischiare l’intoppo ogni tre concetti, un giro di logica senza incidenti, o uno sguardo capace di ritrovare i suoi motivi, obiettivi, coordinate, essendo da tempo dimostrato che vi sono più innumerevoli motivi, obiettivi, coordinate nello sguardo del tutto irriflessivo che indaga il cassetto della cucina, lo sguardo indifferente a tutto il resto che non sia il suo concretamente definito obiettivo, lo sguardo dedito alla balordaggine cieca dei suoi fini che indaga il cassetto della cucina alla ricerca tutto sommato ottusa egoistica assolutistica di un grattalimoni, che non invece nello sguardo che buono buono, onesto e aperto, amorevole di ogni superficie, si protende generosamente verso l’oggetto e si incammina con i suoi metaforici inutilissimi piedi lungo i bordi disgraziati e franosi della vasta utopistica remota desertica bugiarda Nascita di Venere di Botticelli.

 

 

(Cade a terra.)