Grande Raccordo Anulare

aprile 2021

 

La dimensione del bordeggiare, o forse più propriamente quella del costeggiare, appare oggi come una suggestione utile ad evocare la necessità di rileggere in una nuova prospettiva i sistemi della società che viviamo. Nel tempo sospeso della pandemia abbiamo assistito, e ancora assistiamo, allo stravolgimento delle prassi relazionali che caratterizzano la nostra quotidianità, nonché del modo stesso in cui i nostri corpi abitano lo spazio. Il susseguirsi di chiusure e limitazioni che ha portato al collasso del sistema culturale, determinando la messa in crisi di una struttura già precaria, ha reso altresì necessario un ripensamento dei paradigmi dominanti che per decenni ne hanno regolato gli equilibri. Inevitabile l’accelerato rovesciamento della dialettica centro-periferia, e così della messa in discussione degli stessi concetti di centralità, marginalità, funzionalità. Le zone di confine, i margini, i bordi, appunto, non solo in termini urbanistici ma anche in quanto esperienze al latere dei sistemi ufficiali, si sono costituiti paradossalmente come unico spiraglio possibile attraverso cui continuare a esistere. Si è resa allora necessaria una riflessione su come abitare questi margini, ovvero non semplicemente come delle isole, ma intendendoli come connettori, spazi indefiniti attivati da un movimento perpetuo.

L’immagine di un moto continuo, irregolare e circolare, che autobiograficamente associo allo spazio del Grande Raccordo Anulare - tratto autostradale che abbraccia la città di Roma come un moderno e caotico pomerio asfaltato- riflette forse la necessità di questi mesi di continuare ad operare reiterando uno schema comportamentale utopico, fatto di atti inutili, in cui il movimento è strumento di sopravvivenza e auto-rappresentazione. Un’azione che si rende necessaria, dunque, in quanto disfunzionale, e che per questo trova un legame profondo con lo stesso fare artistico.

Parlo di Roma, inevitabilmente, non solo per raccontare uno spazio in cui vivo, ma anche per restituire l’immagine di una città che proprio nel contesto della crisi pandemica ha simbolicamente visto rifiorire i suoi margini proprio grazie alla nascita di aggregazioni artistiche spontanee, portate avanti prevalentemente da realtà indipendenti e di ricerca, a cui io stessa appartengo. E forse, proprio per questo, mi inserisco in questo dialettico piano gassoso con lo sguardo di chi “pratica il margine” come missione quotidiana, poiché in questo trovo l’espletamento di una funzione apotropaica, una scaramantica danza che, mi auguro, non porti a piovere di nuovo sul bagnato.