Storia di un libro

Marzo 2023

 

Non c’erano molti libri nella biblioteca di casa, anche se i miei genitori non solo erano alfabetizzati, ma addirittura diplomati. Sì, papà aveva faticato a prendere la maturità scientifica (come poi feci io), credo con bienni e scuole private, non certo per mancanza di capacità, ma di voglia. Si era anche iscritto alla Cattolica: scienze politiche (come me…) ma non si vergognava a dire che aveva dato solo un esame di Morale. Non ha mai comprato un quotidiano e leggeva i libri condensati di Selezione. Comprava per noi L’intrepido e Il monello, anche se poi mi convinsi che erano in realtà per lui, le letture della sua adolescenza. A queste letture devo comunque la preziosa conoscenza di Nancy di Ernie Bushmiller. (Il fumetto era ribattezzato Arturo e Zoe: in Italia la vera protagonista diventava la spalla). Quand’ero piccolo, però, mi raccontava le storie di Gingis Bulka, chiaramente ispirate al Taras Bulba di Gogol, dimostrando quindi delle conoscenze pregresse. Aveva anche fatto teatro, tuttavia il suo pezzo forte era La classe degli asini di Ferravilla (“Signorina Maccabei, dove sono i Pirenei?” – “ Veramente non saprei…” – “Vada a posto con un sei!”). Solo in età più tarda cominciò a leggere manuali di prestidigitazione.

Mia madre, diplomata maestra (era stata supplente di Rodari, ma aveva insegnato solo nel periodo della guerra nei luoghi più disagiati delle Prealpi varesine, per poi dedicarsi alla famiglia), leggeva Oggi e Guarire. Anche lei da grande ricominciò a leggere, spesso i libri che io le consigliavo.

Nella piccola biblioteca di casa c’erano i suoi libri di ragazza, c’era Pirandello e alcuni autori ungheresi che probabilmente andavano di moda negli anni quaranta.

Un libro che mi incuriosiva, recentemente ritrovato in cantina, era L’isola delle donne belle di Armando Fraccaroli, giornalista, viaggiatore e scrittore coloniale. Non so, ma suppongo fosse amico di Montanelli. L’isola in questione era Bali e il libro illustrato con fotografie di donne a seno nudo. La prima edizione era del 1934, anche se a mia madre fu regalato per il matrimonio, credo. Anche l’Artusi fu un regalo di matrimonio.

Le donne balinesi erano delle selvagge, quindi potevano stare a seno nudo; quanto a mia madre, probabilmente pensava che ai suoi figli quelle cose non potessero interessare. Io alle elementari apprezzavo quelle immagini, mi piacevano quei seni. Non trovavo morbose quelle immagini e non solo perché non erano proibite, le trovavo naturali e nulla più. Chissà, forse mio fratello maggiore le avrà apprezzate maggiormente.

 


(NdA: la macchia marrone è un fiore secco)

 


Storia di una cartolina

Gennaio 2022

 

Abito ormai da dieci anni nella casa in cui sono cresciuto e, dopo la morte di mia madre, sono tornato a vivere dopo trent’anni. Nonostante svuotamenti, rovesciamenti e adeguamenti ci sono sempre alcune piccole nuove scoperte, o ritrovamenti di cose già trovate e poi dimenticate.

 

Trovo in un cassetto un pacco di cartoline del secolo scorso: gran parte sono indirizzate ai miei genitori, diciamo nella seconda metà del secolo. Ve ne sono alcune più vecchie, inizio novecento. Mi riservo di esaminarle più attentamente, forse, in un altro momento. Una delle poche che casualmente guardo è indirizzata a me e mi colpisce per le annotazioni del postino relative al civico inesistente, anche se, evidentemente, a seguito di una (non difficile, credo) ricerca l’errore è stato corretto e la cartolina è stata recapitata.

 

Nel pomeriggio proseguo la lettura del libro di Marco Belpoliti Il tramezzino del dinosauro. 100 oggetti, comportamenti e manie della vita quotidiana, e alla voce Numeri civici leggo: "La lettera reca il mio nome e cognome ed è indirizzata al numero 12 della via dove abito. Il mio numero civico è invece il 15. Sono circa cinquanta metri di distanza. La lettera ritorna al mittente con la dizione: Destinatario sconosciuto. Possibile che il postino non conosca gli abitanti della via, e non abbia avuto modo di correggere la svista? E dire che, nonostante le e-mail, di posta ne ricevo ancora parecchia. Eppure per colui, o colei, che recapita le missive delle Poste Italiane della via dove risiedo, sono uno sconosciuto."

 

È proprio lo stesso caso della cartolina ritrovata poche ore prima: e la prima reazione è di farne partecipe Marco, cui invio una mail: "caro Marco / ieri mattina ho trovato in un cassetto la cartolina di cui allego immagine / nel pomeriggio l'ho ritrovata nel tuo Tramezzino del dinosauro. / Sono casualità che mi piacciono / ciao / G". "Che stranezza! / Un abbraccio / Marco", la sua risposta, quasi immediata. E subito dopo vado a riesaminare il pacco delle cartoline. Tra le altre una degli stessi amici, dell’anno precedente. Anche qui il numero civico è sbagliato: 2 invece che 3, ma quella volta era stata recapitata senza problemi…

 

Tra le tante cartoline ne trovo una inviata all’inizio del novecento da Trieste (allora Regno di Kakania] a Senna Lodigiana (Milano Italia) senza indirizzo né numero civico…

 

Ripenso a una delle considerazioni di Belpoliti: "Provo a immaginare come se la caverebbe il mio postino se svolgesse il suo lavoro a Tokyo; lì i numeri non sono disposti in modo progressivo lungo le strade, bensì seguendo la cronologia degli edifici: sono stati attribuiti alle case in base alla loro edificazione, cosi il numero 1 può essere vicino al numero 30 e il numero 2 al numero 12"... ma, soprattutto mi sovviene di altre cartoline ritrovate, sempre tra i reperti di famiglia, molti anni prima, forse cinquanta, e che avevano ridestato la mia curiosità già una trentina di anni fa, per poi ritornare nell’oblio.

 

Una di queste (nella illustrazione i templi di Nikko) è stata spedita dal Giappone e non reca alcun indirizzo specifico oltre il nome del destinatario, anche se accanto al nome della città di Carugate (tra due distinte parentesi) compaiono Milano e Italy.

 

Più interessante la seconda cartolina, che mi aveva colpito sia per l’immagine che per l’indirizzo ancor più rarefatto. La cartolina è stata spedita da Shanghai nell’agosto 1901 e ci mostra dei corpi decapitati, con la didascalia EXECUTION OF BOXER LEADERS, mentre i saluti sembrano involontariamente ironicamente minacciosi: "…mi ricoderò sempre di lei".

 

La rivolta dei Boxer è terminata, ma non sono certo tempi tranquilli, eppure l’ufficiale postale non deve aver avuto alcun dubbio nell’inviare la carolina verso la giusta destinazione, sebbene l’indicazione del destinatario sia semplicemente "Al nostro Signor Secretario. Carugate".

 

Come non pensare al postino di Belpoliti?


Without public nothing art: storia di una foto

marzo 2021

 

Ai bordi della visione: non ti ho visto nella realtà, ma ti ho visto nella fotografia che ho scattato.

Forse è una leggenda metropolitana, comunque assai verosimile. La storia è raccontata da Lee Friedlander in un manuale di fotografia degli anni settanta: un fotografo scatta delle immagini in occasione di un incidente stradale e quando sviluppa il rullino si rende conto che la vittima è suo padre (a scelta, suo figlio…).

La foto di cui parlo ci rimanda a una situazione differente, ma che riguarda la mediazione tra noi e la realtà che gioca la fotografia e il rapporto tra guardare e vedere. Si tratta di una panoramica di una sala di Palazzo Grassi a Venezia, mostra di Cartier Bresson, fine agosto 2020.

Ho scelto questa immagine in quanto ideale per rappresentare il concetto di "without public nothing art" in occasione dell’intervento di MUSEOTEO+ (da trent’anni ai bordi del sistema dell’arte) per la giornata del Contemporaneo del 2020, e ribadire la posizione su arte on line e arte in presenza. Quando ci definimmo museo senza sede e senza opere era chiaro che nulla aveva a che fare col museo immaginario di Malraux: il nostro era un museo reale, con la gente e le opere, anche se la durata della mostra era effimera.

Probabilmente la foto, che ben rappresenta il rapporto tra opere e pubblico dell’arte, sarebbe rimasta nell’archivio se non si fosse presentata questa occasione. Riguardandola mi sono reso conto che nella foto compaiono due persone che conosco, due amiche, Carolina e Carla. Una al bordo destro della foto e della sala, l’altra dal lato opposto.

Non mi sono stupito che Carolina fosse presente nell’inquadratura, anche se al momento dello scatto non me ne ero reso conto, visto che visitavamo la mostra insieme.

Non sapevo, invece, che anche Carla fosse presente tra i visitatori della mostra. E se non l’avessi casualmente incontrata poco più tardi nel corso della visita (essendo entrata alla mostra prima di noi avrei anche potuto non incontrarla, non sapere che era lì) probabilmente riguardando la foto non l’avrei riconosciuta o, meglio, non mi sarei reso conto che fosse lei. Riguardando la foto ho scorto, tra venti persone, la sua sagoma, di profilo, mentre osserva un’opera: anche lei non mi aveva visto, ma stava guardando le opere, io invece stavo guardando il pubblico…

Se non l’avessi incontrata l’avrei vista? L’avrei riconosciuta nella foto? L’ho vista e riconosciuta perché sapevo che era lì.