Per Virginia Zanetti: tre domande sul guardare

aprile 2021

 

Infinito presente/ hula hoop, 2012,

hula hoop blu, diametro 77 cm, ph di Nicolò Burgassi, OKNO STUDIO PROTOGRAPHY, Firenze

Infinito, 2013

due cerchi di vetro sovrapposti, 80 x 80 cm di diametro ciascuno, Sostare, Collezione Museo D’Arte Contemporanea, Lissone (MB), 2013, ph Dario Sbrana


1) Sopra-Sotto. Sono nozioni riconducibili alla logica binaria con cui ordiniamo e ci “ordiniamo” nel mondo. Il ribaltamento dei termini comporta un rovesciamento dello sguardo e uno smarrimento delle certezze: è il “buio” di un’eticità possibile?

 

Il rovesciamento è un metodo creativo in ogni ambito, è un moto dinamico, vitale. Le certezze ci rassicurano ma allo stesso tempo fermano la vita, creano stagnazione, in qualche modo sono molto vicine alla morte. La logica binaria serve per pensare la vita, eppure la vita non è binaria, contiene contemporaneamente gli opposti: non esiste il buio senza la luce, morte senza vita, male senza bene. Quindi laddove sembra esserci mancanza di eticità è proprio lì che ci sono le potenzialità per crearla. Serve un ribaltamento del comune modo di pensare tale per cui si passi dal credere che possa esistere solo ciò che è visibile e sperimentabile al credere che possa esistere ciò che immaginiamo. Poi occorre collegare l’azione, ovvero adoperarci perché ciò che è pensato diventi concreto.

Lo stesso vale per il pensiero binario sull’io e l’ambiente: non esistiamo separati dal contesto sociale e naturale. Noi esistiamo al meglio quando capiamo che siamo strettamente connessi a tutto il resto e quindi cooperiamo. La sfida continua è superare la tendenza che ci fa pensare che possiamo esistere disgiunti o addirittura a scapito di tutto il resto. Il buio dell’eticità corrisponde a questa oscurità innata nell’essere umano, quindi occorre un moto attivo per aprire la vita a partire dall’individuo fino ad arrivare ai governi politici, alle organizzazioni mondiali e così via.

 

2) Di traverso. Attraversando gli opposti sembri descrivere un incedere che riguarda più in generale una trasversalità rispetto ai linguaggi, ai mezzi e alle pratiche dell’arte. Che cosa fai dunque di mestiere?

 

Prima di tutto sono un essere umano, la trasversalità deriva dalla sete di conoscenza e di ricerca della verità che accomuna ogni essere umano. Come essere umano le mie attitudini principali  sono quelle del pensiero creativo e dei linguaggi espressivi artistici, quindi ho coltivato quelle e ne ho fatto anche un mestiere che non ha soluzione di continuità con la mia vita. Ho necessità di seguire diverse vie, incrociarle, ribaltare e sperimentare, quindi si tratta di un mestiere sui generis. Infatti credo di aver compreso che anche se l’arte è creata dall’essere umano, e quindi è considerata un artificio, essa cerca una mimesi con la natura, tenta quindi di avvicinarsi al principio della creazione naturale. Per questo credo che l’arte non sia totalmente controllabile, catalogabile, ripetibile; per quante regole e costanti ci si cerchi di dare o si possano trovare, essa è dinamica come la vita. Nonostante alcune formule siano più felici di altre, l’ispirazione e la creazione non sono mai totalmente sotto il mio controllo. Come l’acqua di un fiume seguo il flusso in continui mutamenti, accolgo i momenti in cui sembra fermarsi l’acqua, scomparendo nel terreno, ed accolgo le esondazioni. È come se mi affidassi liberamente al principio della creazione per poi cercare un minimo di controllo sia con i linguaggi che ho imparato, approfondito, sia cercandone di nuovi, aprendo nuove collaborazioni con altre discipline, affidandomi o creando coralmente un’opera insieme a persone molto diverse tra loro e provenienti da diversi ambiti e contesti.

È pensiero comune che l’artista abbia una particolare vocazione e uno spiccato senso di missione; per quanto mi riguarda è vero, ma è altrettanto vero il fatto che qualsiasi ruolo o posizione si occupi nel mondo dovrebbe esserlo per ognuno. È proprio il senso di missione e il sentirsi lo strumento adeguato per quella cosa che si sta facendo a fare la differenza tra il vivere una vita realizzata o meno.

 

3) In un tempo sospeso. È come se tu cercassi la forma in uno spazio che non c’è, come per esempio ne I pilastri della terra, dove le dita e la terra si toccano pur rimanendo separati. Si tratta di uno spazio che diventa tempo in stato di arresto. L’intangibilità spazio-temporale è una speranza per la forma?

 

Ho sempre cercato qualcosa che mi aiutasse a tracciare una strada sia nella mia ricerca che nella mia vita; in generale credo che tutta l’umanità abbia bisogno di una filosofia che le dia una direzione. L’utopia di molte ideologie politiche e il credo di molte religioni hanno cercato da sempre una formula che potesse contribuire al miglioramento della società, questi hanno determinato “opere” e azioni le quali  hanno impresso direzioni opposte ai moti storici. Credo siano molto importanti per un’artista la determinazione interiore e la profonda intenzione che modifica la qualità delle proprie azioni; questo incide anche sulla sua condizione vitale e sulle persone che si relazionano con le sue opere. Uno dei pensieri che genera l’opera de I Pilastri della Terra è la potenzialità di ogni singolo essere umano di emanciparsi, perché parte del ritmo dell’universo. Forse il “tempo sospeso” è quell’attimo in cui possiamo percepire il ritmo dell’armonia cosmica di cui facciamo parte, destinato un secondo dopo a mutare e a lasciare un senso di malinconia e di vuoto per ciò che è appena sfuggito. Allo stesso tempo quel vuoto, nel suo bisogno di pienezza, è ciò che genera l’energia necessaria per spingersi ancora una volta a ritrovare quella sospensione, e così via.

La mia ricerca  è basata su questo moto e la forma è strettamente legata a ciò che la sostiene, quindi se la forma esprime questa sospensione, allora l’opera è riuscita.