Ricognizione

Fabio Sandri

N° 29, gennaio 2024

 

Una trave nell'occhio, è il prolungamento della macchina fotografica, indica e determina il punto di vista vincolato dal suo ingombro e dal suo peso materiale che vede lo spazio con angolature sorprendenti. Il peso della trave è il corpo di questo cono ottico che ci collega con lo sguardo di chi lo agisce.

 

Ricognizione, 2023,  macchina fotografica, trave, fotografie.


La fine dei numeri

Roberto Limonta

N° 29, gennaio 2024

 

Sono diverse le fonti che concordano nel riportare come le pagine mancanti del codice Latinus Vaticanus 1970, scomparse durante i tumulti del 1848, custodissero una storia che raccontava di quando i numeri finirono. Il testo rimasto è confuso e lacunoso, ricostruito qual è per frammenti, voci, ipotesi e testimonianze apocrife.

 

Il passato fu il tempo di una numerologia sontuosa e lussureggiante. Numeri raffinati, sottili e minuziosi come merletti (il ventisette, il cinque, alcune varianti del novantuno); o straripanti di esuberanza barocca, come il cinquecentottantanove o l’ottantacinque. Cattolici e untuosi, come l’otto e il dodici; frizzanti, come il trecentotrentasette; veloci e predatori, come il tre o il quindici o anche il quarantanove (ma su quest’ultimo il giudizio non è concorde). Alcuni sono a tal punto celebri (e celebrati) che ripeterli è in realtà un puro esercizio di ecolalia: la tetraktys pitagorica, la triade (altrettanto pitagorica) tre-quattro-cinque, lo zero, il numero di Avogadro, l’ultimo teorema di Fermat. Ma anche l'Uno platonico e plotiniano; il dodici, numero degli apostoli e dei mesi; il quattro (gli evangelisti, i cavalieri dell'Apocalisse, i punti cardinali, gli elementi fondamentali della filosofia naturale dei greci), il sette e il settanta volte sette (detto e scritto così, puri addendi senza risultato).

 

Altri numeri, detti infiniti, ostentano il fascino rétro di una femme fatale, una dama del lago che scruti il mondo dietro i veli del proprio cappello.

Formule, equazioni, algoritmi, calcoli differenziali: i numeri nascevano così, con naturale abbondanza e cadenza quasi quotidiana. Gemevano i torchi a stampare pagine e pagine di cifre, e i dotti trepidavano in attesa delle ultime novità come un attore aspetta febbrile, dopo la prima teatrale, l'uscita delle recensioni. Con l'avvento dell'ultimo secolo tutto cominciò a cambiare. Dapprima quasi impercettibilmente – ma parlarne, oggi, è già un atto d’accusa verso passate negligenze – e poi in modi sempre più aperti e sfacciati. Numeri dozzinali, blandi e grossolani, alcuni volutamente (provocatoriamente) appena sbozzati, ruvidi al tatto e sgradevoli ad ogni senso, epigoni di un fardello la cui esecuzione cadeva in una crescente indifferenza; una banalità dilagante e un disamore che tracimava ormai al di là delle buone maniere. Insomma, non ci si credeva più, o forse era diventato di moda il cinismo numerico, quando non il disprezzo. Si cominciarono ad alzare voci sussiegose: qualcuno azzardò – da principio cautamente – che mutatis mutandis e con tutto il rispetto, in definitiva, a esser franchi e a dirla tutta, occorreva prendere atto che questi numeri avevano un pochino (si disse proprio così, "pochino") stancato. La levata di scudi dei nostalgici apparve stanca e tardiva. Quando l'idea fu ripresa, come era fatale avvenisse, all'indignazione d'ufficio subentrò la polemica, il dibattito accigliato e i distinguo, i quali tuttavia significavano tacitamente la possibilità che sì, forse si poteva, e magari si doveva,, anzi certamente e urgentemente occorreva fare a meno dei numeri, tanto più se i numeri – e lo sguardo si allargava a destra e sinistra, con un gesto come a includere quella che si intuiva essere una pletora di oggetti insignificanti e di cui ormai si stentava a comprendere il senso –  erano questi. Seguiva un sospiro, a sigillare la coscienza sporca con un simulacro di rimpianto che era ormai, in realtà, una profanazione a cielo aperto.

 

I primi a cadere (nomen omen) furono i numeri primi, vittime di un rancore covato a lungo sotto la cenere. Gli ultimi furono i numeri della fede e della superstizione, le cabalistiche aritmetiche della simbologia popolare. Caddero uno dopo l'altro, con tonfi regolari: il tredici, il diciassette, il sette, alla fine persino il tre, nonostante la feroce opposizione dei cattolici. Quanto ai numeri periodici, a quelli irrazionali e alle frazioni, non ci fu neppure bisogno di sopprimerli: scivolarono naturalmente nell’oblio, come foglie morte. Qualcuno sopravvisse più a lungo, in alcune pieghe nascoste dell’alfabeto, ma furono salvezze effimere.

L'ultimo numero vide la luce, stancamente, in un giorno d’aprile che il testo descrive come freddissimo. Ormai nessuno ci credeva più, ed è inutile dire (ma forse utile scrivere) che fu accolto, come si suol dire, da un assordante silenzio. Da allora ci si acconciò a soluzioni di compromesso, per dilazionare l'inevitabile, forse per un rigurgito di pietà o di cattiva coscienza. Non ci furono più numeri nuovi, ma solo riproduzioni: copie, multipli o sottomultipli, in qualche caso imitazioni e anche contraffazioni (continuavano ad esserci appassionati numerofili e, come sempre, collezionisti, commoventi sacerdoti di un dio scomparso); a volte restauri e ammodernamenti, nella speranza che cucinarli con qualche spezia li rendesse più appetibili, in vista di tempi migliori.

 

L'ultimo numero fu un multiplo dispari di 697, di cui non ricordo esattamente la cifra. Anche la memoria numerica ci sta lasciando.

 


Piedistallo

Gianluca Codeghini

N° 29, gennaio 2024

 

Piedistallo, 1991, stampa digitale su carta cotone 40x60 cm + cornice