Sul ciglio dell'attimo

luglio 2021

 

Muro di luce, 2021

Scrivo di luce e di ombre nei giorni del solstizio d'estate. Il cambio di stagione è un bordo, un limite al di là del quale qualcosa cambia, e mi ha sempre stupito il fatto che proprio quando si inaugura l'estate le giornate cominciano a accorciarsi: il culmine come inizio, sì, ma inizio della fine.

 

Mi ricordo da bambina, quando mi costringevano a fare il sonnellino e invece di dormire guardavo il raggio obliquo che entrava dalle persiane – chiuse ma non buie – e spiavo i movimenti del pulviscolo, la luce di qua, l'ombra di là. E poi la teoria delle ombre, a scuola, e la constatazione di come luce e ombre diano forma alle cose, ma possano anche trasformare una forma reale, concreta, nell'apparenza di qualcos'altro: basta lasciare che l'immaginazione vinca sulla logica.

Un tramonto può scavare il tronco di un albero o la vetta di una montagna, un'ombra può cambiare la geometria di un angolo, il volume di un parallelepipedo. Queste metamorfosi durano solo un attimo; quando le vedo, e non è detto, nella memoria rimane qualche istante luminoso, ma se non ne prendo nota, se non le fotografo subito, sono perdute. Se torno domani, alla stessa ora e nello stesso identico punto di vista (il che è impossibile) non sarà più la stessa cosa, perché la luce è come l'acqua del fiume: scorre, è diversa ogni ora, ogni giorno. E sono diversa anch'io, un po' ogni giorno.

 

La luce diurna è un principio unico, viene tutta dallo stesso Sole, anche se è capace di moltiplicarsi e rifrangersi e dividersi in lunghezze d'onda diverse; ma le ombre sono molteplici, una per ogni cosa accarezzata dai raggi, e cambiano forma continuamente con il variare dell'inclinazione. Se le immagini documentano la linea di confine fra luce e ombra, la voglia della luce di inventare forme nascoste, sul piano teorico mi interessano la costanza e la velocità del mutamento. In questo senso essere sul ciglio dell'attimo è come camminare seguendo il culmine di una montagna, in bilico fra due versanti: bisogna fare attenzione a ogni passo.

 

Da anni registravo le sorprese e gli spostamenti di luce e ombre, ma sono diventati il tema di una ricerca più chiara e precisa durante il periodo del confinamento da Covid. Chiusa in casa, o fuori per la strada entro il raggio di un chilometro, ho potuto incontrare il fantasma luminoso che entra dalla finestra e per un momento accarezza il muro, l'ombra che in quel momento disegna grafiche nuove sul marciapiedi di tutti i giorni.

Sono sempre stata sensibile ai dettagli, ma ho imparato a cogliere il margine, la linea labile fra luce diffusa, luce diretta e ombre, il movimento graduale ma rapidissimo da uno stato all'altro. Ho visto come in città la luce non abbia regole, perché incontra sul suo cammino troppe distrazioni: così il riflesso sul cofano delle auto parcheggiate sotto casa (talmente sotto che sembrano squali pronti all'attacco) colora il soffitto; un raggio diretto disegna la ringhiera del balcone con le sue ombre oblique e parallele; un raggio si riflette nel metallo di una grondaia, entra in camera e carambola fra muri e armadi.

La luce va dove vuole, trova tutte le asperità, scopre tutti i trucchi, gioca, rimbalza, non è facile seguirne il percorso. C'è qui vicino una piazza rotonda dove certe sere la luce del tramonto sembra arrivare da ogni lato, destra, sinistra, alto, basso. Infotografabile, si può solo raccontare.

 

Henri Cartier-Bresson[i] cercava la tensione del momento, dell'istante perfetto fra le persone, i luoghi e i gesti; a me piace un gioco più piccolo, più modesto, più discreto: cogliere la luce che c'è, inseguirla finché c'è tempo.

Il bordo – orlo, ciglio, confine, limite, margine – di luce e ombra è anche un bordo del tempo: aperto e veloce, incontrollabile, fuori di noi. Capirlo è un esercizio di attenzione e consapevolezza, una specie di meditazione sulle variazioni dell'attimo. Bisogna essere pronti a prenderlo al volo, e non sempre è possibile: molto dipende dal momento, dall'armonia dentro/fuori (ancora un altro bordo, il rapporto mente/corpo/percezione: impossibile da conoscere, spesso etichettato dalla scienza con definizioni vecchie e discutibili, scrive Siri Hustvedt[ii]). Ma quando funziona, allora è quasi un'estasi. Molto molto breve, questione di attimi, ma è tanto, un attimo perfetto che lascia una traccia di pixel.

 

 

[i] Henri Cartier-Bresson, Le Grand Jeu, mostra a cura di Sylvie Aubenas, Javier Cercas, Annie Leibovitz, François Pinault, Wim Wenders, Palazzo Grassi: Venezia 2020

 

[ii] Siri Hustvedt, "The Delusions of Certainty", in A Woman Looking at Men Looking at Women , London, Sceptre 2017