Maggio 2024
Mi capita spesso di pensarmi altrove, oltre il bordo del presente. In uno spazio altro e ulteriore dove la parola rinvia inevitabilmente alla pittura, alla poesia, e trova pienamente quella necessità e familiarità con l'ordinario. Una condizione immaginata tanto straordinaria da essere percepita da un'ipotetica comunità come indispensabile. Come gesto politico vero, finanche.
È forse questo il luogo nel quale desiderare di vivere? E dove si trova? Mi dico sottovoce. Uno stato d'eccezione, una grazia che misura le altezze e le profondità secondo parametri di scambio e di confronto nuovi, per andare oltre, per sconfinare il più possibile, rinvigorendo il proprio immaginario.
Forse è allo spazio dell'utopia a cui mi riferisco? Sto facendo allusione a quel territorio in cui ciascun artista sborda, inciampa, esclama e declama tutte quelle idee (anche terribili) che fanno dell'Arte la "terra promessa" della visione?
Mi pare naturale che in questa terra ideale sia possibile afferrare il senso e l'appagamento sinceri nel vedersi riconosciuti come indicatori di un viatico: un territorio magico abitato da visionari e profeti, dove i dubbi e le domande si distillano fruttuosi al fine di innestare e disinnescare nelle coscienze di chi quel territorio lo vive quegli anticorpi-pensieri capaci di neutralizzare gli abbagli sensuali del
tutto uguale a tutto.
Girando attorno a questo ragionamento, dopo aver vissuto per vent'anni a Bologna, l'essere ritornato in Sicilia - ho scelto Modica come luogo d'elezione - ha inevitabilmente comportato un ridimensionamento dell'offerta culturale in senso più ampio.
Purtuttavia, sull'isola mi è venuto più semplice dare spazio a quei bisogni e desideri intimi di condivisione con l'altro, liberando pure quell'urgenza della voce che si colloca in quegli "interstizi di solitudine e di silenzio" - per dirla con Deleuze -, animando gesti e forme in modo differente.
Il contatto sensibile con le piccole comunità è talvolta capace di intensificare le visioni a cui affidiamo le nostre esistenze, probabilmente a causa di quel senso di sottrazione che per diverse ragioni non può essere arginato, circoscrivendo, nel bene e nel male, ogni risultato raggiunto in un perimetro di possibilità e respiro più corti. Ma per me, sia detto chiaramente, a quarantaquattro anni suonati questo è l'unico modo per ritornare alle cose.
Mi domando ancora: dare sostanza a quel riflesso umanissimo che origina sempre dallo specchio del mondo, per scorgere quel fantasma e quel corpo che noi siamo, è forse il fine ultimo della nostra ricerca? Uno specchio simbolico e potente, non privo però di ambiguità e di polarità contrapposte, e tuttavia plastico, dove le parole e le immagini modellano il reale e si fanno risonanza estetica e morale tali da rinviare a una moltitudine di esperienze (e di sguardi?) per superare - quando va bene - quel gap che ci estranea dai clangori che animano le piazze e le strade di altre geografie.
Dalla Sicilia tutto mi appare più bello, e ciò mi pare un buon motivo per tentare di fare ancora un quadro: un quadro che smargini oltre la cornice, assumendo la forma di un pensiero critico.