Punti di caduta

Settembre 2022

 

Nell’esperienza moderna della conoscenza, le discipline si strutturano come sistemi organizzati e, per così dire, istituzionali. In essi la crescita delle conoscenze non può essere separata dai protocolli e dalle organizzazioni che la rendono possibile. Non c’è validità di uno studio scientifico senza revisione dei pari e senza istituzioni che ne certifichino il curriculum.

 

Non si comporta diversamente il mondo dell’arte che, da tempo, si definisce come un sistema fatto di figure professionali, istituzioni e imprese commerciali. La critica di questo sistema rischia di essere un esercizio sterile, perché esso stesso è il contesto indispensabile a definire l’arte. Meglio descriverne la topografia e individuare i luoghi dove abitarlo è possibile o desiderabile, al centro o alla periferia.

 

Si è persa del tutto la possibilità stessa di unificare il sapere. Ma allora, è proprio dai bordi di una disciplina che si può spingere in là lo sguardo, a intuire quel che accade in un’altra. E, forse, è nello spazio vuoto (privo di logos) tra un sapere ed un altro che può comparire il fantasma di ciò che non può essere detto, che “conviene tacere”.

 

Lungo questi bordi che non sono ordinati confini tracciati in campo aperto, ma punti di vista o di caduta, si dislocano molte tra le più interessanti espressioni della creatività contemporanea: dall’intermedialità di Fluxus al teatro che si trasforma in esperienza visiva, per esempio, con Bob Wilson.

 

All’alba del moderno c’è stata la sfida di Hegel: l’arte non può più risiedere nella rappresentazione e nell’immediatezza, ma si deve misurare con il concetto, con la razionalizzazione che caratterizza il suo tempo; né può più persistere come oggetto di culto, per divenire attività privata, nel senso di un collegamento inscindibile alla soggettività dell’artista. Hegel riteneva che, in questo senso, l’arte fosse destinata all’irrilevanza ma gli artisti, invece, hanno risposto alla sfida.

 

L’arte, infatti, ha cominciato a misurarsi con il concetto, a partire dall’astratto, interrogando il proprio stesso linguaggio. Fino al punto di svolta duchampiano, molti decenni dopo, nel quale echeggia la volontà di potenza e il linguaggio si riduce alla rappresentazione di un concetto, contemporaneamente mostrando il limite invalicabile di ciò che non si può più significare.

 

Lungo il bordo dal quale l’arte e la filosofia si rispecchiano, si osserva il continuo flusso delle immagini offerte sul mercato. In esso, insieme ad un permanente rischio di irrilevanza, restano aperte le prospettive di un’arte che riduce, asciuga radicalmente i suoi strumenti linguistici ad indicare la tragedia del senso perduto e, contemporaneamente, l’anelito a trascendersi.

O, d’altro canto, un’arte che gioca liberamente con le immagini, pienamente consapevole del loro limite e di una ricerca di senso che si svolge esclusivamente all’interno del suo fare, di qui alludendo silenziosamente a ciò che viene implicato in relazione ad altri saperi.