Un appunto

aprile 2021

 

In Combray  (Dalla parte di Swann), Marcel Proust sovrappone il volto della Giustizia dipinta da Giotto a quello di certe bigotte di Combray “arruolate da un pezzo nelle milizie di riserva dell’Ingiustizia”. La Giustizia si sovrappone all'Ingiustizia con una symmetria che conferisce all’intreccio complesso di immagini, parole, concetti, percezioni ed emozioni una forma sintetica e perfetta.

Leggendo il passo penso che solo nella scrittura l'immagine può trovare una sua corretta posizione rispetto a questo intreccio che chiamiamo pensiero. Tuttavia Proust osserva che nell’affresco giottesco l'immagine è un simbolo materializzato: l’immagine della Giustizia ha cioè un lato rivolto verso il reale, ha una concretezza senza la quale non sarebbe stato possibile riferire il suo viso a quello delle bigotte di Combray e dare così corso al suo pensiero. Perciò mi ricredo. 

Non è nella scrittura, ma sul confine tra il viso dipinto da Giotto e quello rievocato da Proust che il pensiero si muove e poi prende forma, diventando la Recherche o la Iustitia dipinta sulla parete destra della Cappella degli Scrovegni. Prende forma solida qualcosa che non è solido. Tra la solidità della forma scritta e quella della forma dipinta sta qualcosa di liquido, o gassoso, o fluido, che la pittura di Giotto e la scrittura di Proust arrestano.

Tra le due c'è un "infra", una pausa, un vuoto come quelli che si aprono improvvisamente nelle attese. In questi vuoti il pensiero è allo stato fluido, non ha una forma. Quando la prenderà non sarà più pensiero ma una sua espressione.