Sostenibilità dell'architettura vs Architettura sostenibile

Marzo 2023

 

Sostenibilità dell’architettura

Quando varchiamo la soglia di una cattedrale gotica, il nostro sguardo volge al cielo: è un’azione automatica, spontanea che nessuno ci suggerisce; uno spazio verticale e compresso illuminato da una luce zenitale che impone un certo tipo di movimento - il guardare verso l’alto - condiviso e spesso univoco. Nella maggior parte dei casi non ci facciamo neppure caso, eppure agiamo tutti allo stesso modo.

Apprendere e associare determinati movimenti in relazione alle diverse conformazioni spaziali è un compito arduo, che si attualizza soltanto visitando architetture di valore e ripercorrendo almeno due volte lo stesso percorso: la prima, passeggiando in maniera inconsapevole e spontanea; la seconda, ripercorrendo lo stesso tragitto con mente lucida e razionale, ricostruendo e rammentando i movimenti e le sensazioni che ogni spazio ha precedentemente generato.

È così che impariamo a conoscere davvero cosa vuol dire architettura. Mi piace definire l’insieme di tali spazialità associato alle azioni che esse generano: “grammatica architettonica”. Tali elementi configurano una sorta di abaco o di tavola periodica che consentono di selezionare, abbinare e associare singole parole e periodi più complessi, dando luogo a racconti che quotidianamente possiamo vivere concretamente al loro interno.

Un buon architetto deve conoscere e padroneggiare questo vocabolario, declinarlo con il proprio linguaggio a servizio del committente che gli affida la propria casa, il proprio ambiente di lavoro, il disegno dello spazio urbano collettivo.

 

Il grande architetto portoghese Souto de Moura afferma che: “Non esiste architettura ecologica, architettura intelligente, architettura sostenibile. Esiste solo la buona architettura.”, per poi chiarire che: “Ci sono sempre problemi che non dobbiamo trascurare; per esempio l’energia, le risorse, i costi, gli aspetti sociali. È sempre necessario essere attenti a tutti questi aspetti.”

La frase riassume il senso e il valore delle gerarchie che un progetto architettonico deve assicurare; un approccio alla materia che non sempre viene seguito e rispettato, quando alla creatività e alla poesia si anticipano le esigenze di carattere energetico, prestazionale, funzionale.

Le emergenze legate al rapido cambiamento climatico e la crescente sensibilità ambientale focalizzano l’attenzione sulla necessità di risolvere i problemi legati esclusivamente al risparmio e al consumo di energia e nei casi più virtuosi tale sensibilità incoraggia un maggiore utilizzo di materiali naturali. Tali azioni stanno diventando la buona regola da seguire, ma lasciano spesso in secondo piano il contesto e la ricerca spaziale.

Quando visitiamo il Pantheon ne rimaniamo immediatamente abbagliati, nessuno di noi si pone il problema di quanto l’edificio possa consumare e con quali stratigrafie esso sia stato costruito. Sono speculazioni che arrivano in un secondo momento, quando l’effetto della meraviglia sfuma e lascia il posto a domande e curiosità di ordine più pratico.

A tale principio dovrebbe ispirarsi oggi anche il progetto di edifici bioclimatici e bioecologici, superando un concetto di “sostenibilità”, che si accontenta di annullare le emissioni di CO2 senza preoccuparsi di dare anima alle architetture.

L’università e i corsi di specializzazione troppo spesso insegnano a isolare in modo efficace una casa senza porre l’attenzione sulla possibilità che determinate azioni, seppure virtuose, si sviluppino in modo organico con le regole base del buon progettare. In molti esempi proposti in ambito formativo, grandi aperture vetrate su fronti esposti a sud, prevalgono sulla volontà di incorniciare panorami ed elementi di rilievo che si affacciano a nord, dando luogo ad abitazioni completamente estranee al contesto e alle preesistenze di maggiore pregio che le caratterizzano.

Progettare e costruire oggi non rispettando l’ambiente è un atteggiamento di per sé, oltre che anacronistico, eticamente sbagliato. L’ecologia è pertanto uno dei vincoli del progetto architettonico ma non il suo scopo ultimo. Per questo ritengo sia più proprio parlare di sostenibilità dell’architettura e non di architettura sostenibile.

 

Architettura primitiva

Un altro aspetto che ha inciso in modo importante negli ultimi anni è la possibilità di accedere ad una infinità di informazioni in maniera immediata e, di conseguenza, spesso superficiale. Tutto ciò ha generato una cultura di tipo visivo da consumare a ritmi velocissimi, che non lascia spazio alla definizione di uno stile, alla possibilità di una verifica e di un confronto, al sedimento e quindi allo stratificarsi della memoria.

L’accelerazione e la velocità di consumo hanno atomizzato la realtà, agevolando il mondo del pensiero istantaneo, multitasking, leggero ed effimero; un pensiero estremamente fluido, disorientante, sovente fragile e privo di contenuti profondi.

Anche grazie a queste dinamiche, l’architettura si è tinta di verde a prescindere dall’effettivo grado di ecologicità che la caratterizza. Così, produttori di finestre in PVC presentano i loro prodotti come “green” facendoci notare che al microscopio la molecola della loro plastica somiglia a quella di un essere vegetale, mentre finte pietre stampate su materiali di sintesi ambiscono ad una nuova mineralità. La nuova moda imperante è il greenwashing.

Percepisco tale condizione come particolarmente artefatta, rumorosa e ridondante; ma l’architettura può aiutare a trovare appigli più solidi ai quali potersi affrancare (firmitas).

Si può pensare a un progettare che definirei primitivo.

In tale prospettiva si esclude tutto ciò che disgrega lo spazio e la luce, tutto quanto mette in discussione semplici verità (la ceramica che finge il legno, ad esempio). Si spoglia il progetto dal superfluo, si rifiutano materiali non autentici, si valorizzano le esigenze dei committenti attraverso la definizione di un loro spazio, posto in relazione con la luce che lo fa percepire.

Parallelamente, è necessario far ricorso alle nuove tecnologie - quali i processi di prefabbricazione - ma nel contempo è necessaria la definizione di un linguaggio contemporaneo capace di recuperare materiali naturali della tradizione: il legno, la paglia, il sughero, il gesso, la ceramica, la canapa, il ferro, etc.

Chi scrive di futuro prossimo e di ambiente dà per scontato che nel 2050 aria e acqua diverranno beni rari e preziosi; piccoli centri di montagna, oggi abbandonati, diventeranno i posti più richiesti - e più cari - dove acquistare casa e andare a vivere.

L’architettura a cui credo si muove lungo tale prospettiva, guarda all’essenziale pur non essendo miminalista affinché emozione e poesia possano manifestarsi senza veli, risultando indispensabili come l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo.

 

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